giovedì 19 dicembre 2013

Tu uccidi un uomo morto.

Si può uccidere un uomo morto? Si può. Ecco, presi da Wikipedia, alcuni esempi di esecuzioni postume. Persone che erano già decedute, ma sono state ugualmente ri-uccise, principalmente come atto simbolico o di giustizia. Uno dei casi più recenti e anche Disbanded è quello di Hermann Goring, gerarca nazista suicidatosi la notte prima dell'esecuzione con una pastiglia di cianuro fornita da un cacciatore texano (ecco perché è Disbanded), ma impiccato comunque in rispetto della sentenza di Norimberga. L'elenco comprende solo uomini e un Papa:  Papa Formoso.


Elvis has left the building. 

martedì 10 dicembre 2013

Svegliati nonno, si va in Turchia.


Le campagne pubblicitarie delle compagnie aeree sono sempre una categoria a parte: raccontano molto sia della compagnia, sia della bandiera che rappresentano. Prendiamo i due nuovi spot delle compagnie di bandiera turca e italiana. Mio nonno, scongelato dopo un'ibernazione di diciamo trent'anni, messo davanti a un televisore per la durata dei due spot e poi prontamente ricongelato, si troverebbe davanti a due prodotti opposti e a due comunicazioni distanti anni luce. Questa è la pubblicità della Turkish Airlines, da tre anni di fila premiata come migliore compagnia aerea d'Europa. Uno scenario quasi impensabile, quando il nonno si addormentò.


Sì, dovrei passare qualche ora a spiegargli cosa sia una selfie, chi siano Kobe e Messi, quali siano le economie emergenti, come la Turchia ce l'abbia fatta (anche se le restano i suoi problemi), e una serie di cose che alla fine capirebbe prima di tornare felice nel suo cubo di ghiaccio. Ma penso si divertirebbe perfino lui, e concorderebbe che volare con i turchi ha un suo perché. 


Nessuno sforzo invece dovrei fare per spiegargli la nuova campagna di Alitalia, perché qui tutto è rimasto come ai suoi tempi: congelato. Immagini al ralenty, sogni d'oro nelle poltrone-letto, bambini che toccano i pulsanti del pannello di controllo dell'aereo (forse anche il temibile "eject pilot"), fotografia color seppia, musica color-Coldplay. Insomma tre spot fatti con il pilota automatico, che ci pongono due o tre gradini sotto la Turchia, o quantomeno sotto la loro linea aerea nazionale. Peccato perché oltretutto una campagna vera come quella di Messi-Kobe è esportabile in tutto il mondo, con conseguente guadagno di immagine per tutto il Paese, mentre quella di Alitalia  non esporta nulla. Ma come avrete capito questo non è un post sulle campagne delle linee aeree. A me piacerebbe sentirmi moderno come i turchi, o come i francesi, ma evidentemente sono destinato a rimanere antico. Da noi tutto è rimasto com'era. Perché vedete come è fatto questo lavoro: quando te la passi bene giochi e scherzi con le selfie, ma quando le cose vanno male devi fare finta che tutto sia perfetto come un tempo. Scherzare diventa vietato, e il tono non può scendere di un millimetro. In Italia sta succedendo sempre più spesso, con conseguente impoverimento di chi è pagato per creare idee, ovvero tutte le agenzie e tutte le categorie che con le idee hanno a che fare.
Il grande equivoco è che non è necessario essere un paese ricco o una compagnia ricca per produrre una campagna corporate convincente. Ce ne sono di bellissime costate due soldi: i bravi creativi servono anche/proprio a questo. Non è nemmeno necessario scomodare Messi e Kobe.  Ma questi nostri spot (girati tra l'altro dagli spagnoli) sono la fotografia di un paese ormai disabituato a volare con la propria comunicazione istituzionale. Perché la patria del turismo deve esportare un prodotto così medio, rendendo in qualche modo di riflesso più povero anche me? La rivoluzione creativa (un programma di cui molto si parla in questi giorni, qui trovate il condivisibilissimo manifesto) parte proprio da questo: rendersi conto che un paese che produce belle idee in ogni campo, è un paese più ricco in ogni senso. Ai tempi di mio nonno la pensavano così, e si viveva molto meglio. 

Elvis has left the building.

mercoledì 4 dicembre 2013

Da Bill magazine su Alex Bogusky.





Un articolo commissionato da Bill magazine sul numero dedicato ad Alex Bogusky, on sale now! Per quei 3 o 4 che ancora non conoscessero la case history di Whopper Sacrifice.

"Il profumo a gusto hamburger, lo stesso che potete annusare in una qualsiasi metropolitana delle metropoli più incivilizzate, venne lanciato pochi mesi prima del Whopper Sacrifice. 
Si chiamava "Flame by BK", era in vendita a circa 4 dollari e andò subito a ruba, come tutte le provocazioni spiritose ma dal fiato volutamente corto. E che fiato. Un gioco, ma nemmeno tanto, che faceva capire che sul panino americano si può e si deve fare ironia. È un'icona importante anche sociologicamente (anni prima McDonald's puntava molto sul "pasto caldo per tutti" a meno di 1 dollaro), ma non è sacro. È solo pericolosamente buono. 
Ma era solo un piccolo antipasto di quello che accadde l'anno successivo, nel 2009.
La campagna Whopper Sacrifice fu storica per tanti motivi. Innanzitutto è considerata la campagna nativa del mezzo ad aver funzionato meglio nella storia di Facebook; creata aggirando i paletti del social network, per poi essere fermata quando la polpetta era stata già servita, rimane la case history più brillante del momento d'oro del social network (il 2009). Successo quindi difficilmente replicabile. È molto probabile che sappiate già tutti come funzionava l'operazione: se cancellavi dieci amici da Facebook, avevi in cambio un Whopper. Un hamburger al posto di dieci amici sacrificati, tutto questo attraverso una app da scaricare sul social network. Non male, visto che nessuno ti impediva in un secondo momento  di ri-aggiungere l'amico, oppure più semplicemente di disfarti di perfetti sconosciuti in nome del gusto irresistibile del panino. Insomma, esistono sacrifici più dolorosi. 
La campagna ebbe un successo proporzionale alla sua bellezza e irriverenza: più di 230.000 amici cancellati da circa 80.000 utenti, e oltre 23.000 coupon distribuiti per ritirare il Whopper. Ma soprattutto un successo tale che oggi siamo ancora qui a scriverne: i premi creativi ricevuti in giusta quantità impallidiscono rispetto alla portata reale di tutto il resto. La campagna chiedeva tra l'altro: "What do you love more, your friends or your Whopper?" Non era una domanda da poco, apparentemente. Significava sfidare il social network a casa sua, facendosi pubblicità sulle spalle di Mark Zuckerberg, proprio le sue. Ma il punto non era tanto quello. Ciò che indispettì il quartier generale di Menlo Park, California, era che gli amici cancellati ricevevano notifica dell'avvenuto sacrificio. L'onta era in qualche modo pubblica, a dispetto delle (sagge) regole di Facebook che evitano nella maggior parte dei casi le umiliazioni di piazza. E però proprio così l'operazione riceveva ancora più forza. Attaccandosi a questo punto fermo, i legali di Facebook ottennero la sospensione dell'operazione da parte di BK, senza nemmeno arrivare davanti ai giudici.  Tanto ormai la macchina era partita, e la campagna era già consegnata alla storia.
Ma forse la sua forza, a rivedere oggi tutta la meccanica, è stata un'altra. Quella di restituire alla parola "amico" il suo giusto significato. Un amico di Facebook, alla fine, non vale niente. Il suo valore è 37 centesimi, e per la prima volta ne veniva certificato il prezzo.  Non era quindi sbagliata la promozione, era sbagliata la parola. Non sono "friends" quelli che abbiamo su Facebook. Sono spesso perfetti sconosciuti, oppure conoscenti, fantasmi da sacrificare per un pretesto qualsiasi, potrebbe essere un polletto fritto di McDonald's o un Frappuccino di Starbucks. Ma le idee sono di chi le cuoce prima. E Bogusky fu il più veloce a cuocere il suo Whopper, per ingrassare ancora un po' e spezzare il suo skateboard per il troppo peso." (qui la case)

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mercoledì 27 novembre 2013

Le 17 comparse che non avranno mai più un contratto.




Ce ne sono alcune esilaranti, un paio incomprensibili e una (la 15) fuori luogo perché intenzionale.
Ma la galleria è super Disbanded e merita. (Via The Social Post)

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martedì 26 novembre 2013

Forse la più bella pubblicità sull'argomento violenze domestiche.



Si parla tanto di violenza sulle donne in questa settimana, e i muri delle nostre città sono pieni di manifesti che invitano a prendere posizione attiva sull'argomento. Ripescando tra le cose più belle che ogni tanto questa professione ci regala, ho trovato questa pubblicità radio norvegese che per me resta insuperata sull'argomento. Qui si pubblicizza un "numero rosa" o emergency line contro le violenze domestiche. A voi i brividi quando lui dice "I understand".

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lunedì 25 novembre 2013

Imbianchini Vs street artists: 5 a 0








Una cosa che ti aspetti accada in Italia per mano di Pisapia o Marino, e non a NYC. Uno dei luoghi sacri dei  murales, il 5Pointz del Queens, è stato interamente riverniciato dai proprietari dell'immobile, Jerry e David Wolkoff, che intendono trasformarlo in uffici e abitazioni. A nulla è servito il tentativo di dichiararlo luogo di interesse artistico nazionale. Dopo la caccia a Banksy e l'arresto di Space Invaders, la città che ha dato i natali al fenomeno dei graffiti soccombe miseramente come una Milano o Roma qualsiasi. Nel video da me girato due anni fa, una scolaresca visita 5Pointz. Qui invece come si presenta adesso con una bella mano di bianco.

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giovedì 21 novembre 2013

L'affissione che riconosce gli aerei e forse anche gli UFO.




Abbiamo passato anni a guardare le affissioni. Ora sono loro a guardare noi, mentre ci solleviamo da terra su un aereo BA. L'affissione ci dice anche numero del volo e orario. E se il volo è diretto a Roma Fiumicino, prega anche per il ritrovamento o riconsegna del vostro bagaglio. La versione con gli UFO non è ancora stata messa a punto.
"In a claimed world first campaign, the new British Airways #LookUp billboards in Piccadilly Circus, have some pretty cool tech behind them, allowing a simple, yet very effective story to be told. And as British Airways planes fly over the ClearChannel digital outdoor sites through the Heathrow flight path, they trigger advertising creative showing real-time data of that plane, including destination and flight number; including a weather feed even reads the cloud height to ensure the plane is visible before showing the advert!" (via)
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lunedì 18 novembre 2013

"Ogni volta una rockstar cede alle pubblicità di brand di lusso, un ribelle muore."



Dopo aver utilizzato Bono Vox, Luis Vuitton punta ancora più in alto e si compra l'anima di David Bowie. Accompagnato dalla bellissima Arizona Muse, il Duke arriva a suonare nello spot un pezzo del suo ultimo album. Il mondo si divide tra chi pensa che sia naturale e giusto che una rockstar possa fare pubblicità (sfarzosissima) a un brand di lusso, e chi invece pensa che operazioni di questo tipo segnino in qualche modo il capolinea di un mito. Il segno ineluttabile che non sei più David Bowie. Perché quando eri David Bowie, o quando eri Bono col cappello nero, non lo avresti mai fatto. (Si era parlato di questo argomento poco tempo fa qui).

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domenica 17 novembre 2013

Il primo spot di un Papa.




Sempre più simile a Peter Sellers, e sempre più uomo di marketing, Papa Francesco lancia la Misericordina durante la messa domenicale. Non un vero farmaco, ma più un'operazione volta a raccogliere consensi, fede e forse anche fondi. La scatoletta contiene infatti solo un rosario, un santino e un bugiardino che spinge a inginocchiarci e pregare quando "desideriamo la misericordia per un moribondo, o abbiamo bisogno di un aiuto" o anche altri casi, ad esempio quando ci è caduta una penna. Durata della cura consigliata: 7 minuti al giorno. L'idea viene dalla Polonia, ma non è del tutto nuova. I più misericordiosi tra voi ricorderanno questa bella idea spagnola di un paio di anni fa (ne avevamo parlato qui), realizzata da Medici Senza Frontiere. Resta il fatto che questo, a memoria d'uomo, è il primo "spot", o Operazione, o PR activation, guerrilla o altro genere di attività di marketing palese mai attivata dal balcone dell'Angelus da un Papa. Sempre più Disbanded. Possibile per lui una chiamata dagli scaltri volponi dei Canneslions come Presidente di qualche giuria.


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lunedì 14 ottobre 2013

Perfido genio.



Banksy vende le sue opere in un banchetto a Central Park, ma nessuno sa che si tratta delle opere originali dell'artista. Nel video vediamo alcuni fortunati/e acquirenti che si portano a casa per pochi dollari opere che ne valgono centinaia di migliaia. Futuro dialogo tra la fortunata acquirente e la casa d'aste: "ma io come faccio a sapere che questa opera viene dal famoso banchetto di Banksy a Centarl Park?" "Guardi il video, ecco questa sono io: sono 200 mila dollari, grazie".


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mercoledì 9 ottobre 2013

giovedì 3 ottobre 2013

Questo non è un mestiere per neri.





"There are still no black people in advertising" ha fatto notare Mr. Weiner, uno di creatori americani di Mad Men in una sua intervista alla testata Ad Age, rompendo il mio sonno generato dalle polemiche di questi giorni sulla famiglia tradizionale in pubblicità (pensate, hanno chiesto agli inventori della "famiglia del mulino bianco" quando vedremo una famiglia di gay nei loro spot, saltando direttamente la domanda precedente che era: quando vedremo una famiglia vera, normale, di quelle con i vestiti sgualciti i capelli fuori posto, famiglie che altre aziende mass market e molto popolari ci mostrano da tempo?).  Chiusa la parentesi, dice Weiner che sostanzialmente la situazione sarebbe ferma ai tempi della celebre serie da lui creata, nonostante fuori dalla pubblicità i black people americani di passi avanti ne abbiano fatti parecchi, arrivando a occupare anche stanze di una certa ovalità. Ma i nuovi Mad Men, dice lui, sono tutti bianchi. In effetti ci pensavo: quanti pubblicitari neri "famosi" conosco? David Droga, Bogusky, Serpa? Sono all whites, come più o meno tutti gli altri anche meno celebri di loro:  quanti ne ho mai visti raccogliere i leoni di Cannes, o solo aggirarsi in ciabatte per la Croisette? Un numero molto vicino allo zero. Come mai la pubblicità è un mestiere così bianco? Evidentemente l'integrazione - che tanto bene l'industria della pubblicità promuove con le sue campagne - non si rispecchia nelle stanze dei piani alti delle agenzie. Ma questo progetto, invero molto Disbanded, cerca di raccogliere fondi per girare un Mad Men nero, perché - dicono gli autori - negli anni 60 in America le agenzie di pubblicità erano multirazziali, molto più di adesso. Nel momento in cui questo post viene redatto manca una settimana alla chiusura delle sottoscrizioni, e il tipo ha raccolto poco più di 1.000 dollari dei 3.000 necessari a ricreare il giusto clima di quegli anni, cosa per niente facile. Come possiamo vedere dal trailer-pilota. 

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mercoledì 2 ottobre 2013

Dumb ways to die per Grand Theft Auto.





Il vidogame più caldo del momento incontra la campagna pubblicitaria più premiata di tutti i tempi:  Dumb Ways to Die. Il divertente spoof  per GTA V, realizzato da un utente di youtube che si chiama Brian Simon, fa riferimento alle numerose trappole e operazioni suicide del gioco, che peraltro io non conosco essendo rimasto ai tempi di Super Mario e dei gusci di tartaruga (tempi peraltro ancora non passati). Ma voi che amate le armi, il sangue e GTA, potrete certamente apprezzare.


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mercoledì 25 settembre 2013

Epic Pukes.


Galleria Disbanded di cantanti che vomitano, sebbene alcuni di loro non facciano uso di droghe o alcolici. Creata con maestria da questo artista (ci sono altre foto). 





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lunedì 23 settembre 2013

L'uomo che volerà per sempre grazie a un budino al cioccolato.




Cosa spinge un meticoloso e tranquillo ingegnere californiano a fare incetta di pudding al cioccolato, comprandone addirittura 12.150 confezioni in un solo mese? Le Miglia aeree. Questo tizio scoprì che la promozione in atto su questo prodotto era assai vantaggiosa: ogni 10 codici a barre inviati si ricevevano 500 miglia aeree. Ma le miglia sarebbero diventate ben 1000, inviando i codici entro il primo mese. David Philips (questo l'anonimo nome dell'ingegnere) fa due conti, trova dei negozi che vendono addirittura sotto costo quel budino (25 cent), e decide di tentare l'investimento. Rastrella drogherie, piccoli store, supermarkets. Spende 3000 dollari di pudding. A chi gli fa domande, risponde: faccio scorte per il Millennium Bug (l'anno era appunto il 1999). Ma sorge un problema concreto: non riesce a ritagliare i troppi codici  a barre. Se fa aiutare da moglie e figli, ma è un lavoro estenuante, sono americani e non cinesi, forse qualcuno in famiglia lo avrà anche mandato a fare la cacca, e allora si inventa un'altra soluzione. Contatta la Salvation Army e propone: se tagliate voi per me i codici a barre, io vi regalo il pudding. I volontari si armano di forbici e di pazienza, e in poco tempo tutti i bar code vengono spediti alla compagnia aerea. Non solo, Mr Philips può anche dedurre dalle tasse circa 800$, essendo la sua una donazione benefica. Un genio Disbanded. Che oggi può volare insieme alla sua famiglia in modo illimitato e per sempre, disponendo di circa 1.280.000 miglia (vere, non come quelle nostre che scadono, e presumo anche senza la sovrattassa aeroportuale che di fatto rende le Mille Miglia italiane un premio costosissimo), e di una collezione di  privilegi da frequent flyer da fare invidia a George Clooney di Tra le Nuvole (se non lo avete visto, può bastare il primo tempo). Ma non è tutto. Se avete capito il personaggio, potrete anche immaginare che è un tipo a cui non sfugge nessun cavillo. Grazie a moltiplicatori e bonus speciali, oggi il divoratore di pudding sta continuando a guadagnare miglia, ed è arrivato a toccare i 4 milioni totali. Lui e la sua famiglia hanno già viaggiato in 20 paesi del mondo, e non dovranno mai più pagare per un biglietto aereo in vita loro. Mi piace immaginare le  hostess di American Airlines che lo incontrano in volo, tanto ormai lo riconoscono, e che probabilmente riciclano sempre la stessa battuta gentile, chinandosi su di lui: "some dessert, Mr Philips?"

(Trovato qui, grazie Davide L.)


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domenica 15 settembre 2013

Questo genio è Disbanded.




Mi auguro che i brand anche in Italia tornino presto a chiedere delle storie alle loro agenzie di pubblicità. Ma la vedo dura perché fare uno spot costa. E non parlo solo di soldi: costa fatica creativa, capacità di approvare quell'idea, coraggio a venderla ai propri capi. Insomma lungaggini insopportabili per un'azienda quasi certamente in crisi. All'estero però non è così, tanto che l'industria degli spot funziona ancora abbastanza bene. Ecco qui uno spot esemplare, realizzato per Burger King dalla norvegese Try/Apt. Bello lo spunto, il cast, la regia. Quale direttore marketing rifiuterebbe un'idea secondo la quale il gusto del panino vale tutti gli altri sensi più importanti? Bè, sì ne conosciamo tutti diversi. In ogni caso questo spot è un'ulteriore prova abbastanza concreta di come i filoni non dovrebbero mai costituire un limite per la creatività (è invece una causa piuttosto comune di auto-castrazione delle idee tra i creativi). Mille volte abbiamo visto i Geni della lampada in pubblicità, e altre mille il filone dei 5 sensi? Pazienza. Ben venga la 1001 esima volta, se è la migliore. Quello che conta è la storia, come sempre. Altro insegnamento: se il genio non fosse così Disbanded, lo spot non sarebbe così super.

(Agenzia: Try/Apt, Norway. Director: Pal Asberg)

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mercoledì 11 settembre 2013

I passaggi chiave del messaggio YouTube del nuovo Ambasciatore americano in Italia.



Gioviale e americanissimo video di presentazione del nuovo ambasciatore (americano ovviamente) a Roma. Non manca nessuno, nemmeno la nonna Lucy Colussy (che non è una regina del burlesque). Ci sono le bocce, il cibo e addirittura San Marino. Arlecchino e Pulcinella vengono invece inspiegabilmente esclusi. Gatto Budetti, spiegaci l'origine del tuo nome. Il video va visto: is here.

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martedì 10 settembre 2013

Foto che solo le ragazze si fanno (non è vero).




Galleria di foto che solo le ragazze si fanno, trovata qui. Alcune in verità sono trasversali ai due sessi. Esisterà poi  qualcosa di analogo anche per i maschietti, ma Sabotagetimes ancora non l'ha postata. Semmai potremmo aggiungere alla lista, ecco, delle foto in posa davanti allo specchio (più rare tra gli uomini) e una variazione sul tema: la classica foto di Audrey Hepburn tra le proprie foto profilo. Ma qui siamo già su altro filone, intitolato più o meno "icone senza tempo cui vorrei assomigliare o a cui mi sento di assomigliare in qualche modo almeno aspirazionalmente".

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venerdì 6 settembre 2013

Il momento più basso della storia dei Ramones?



Questo è forse il momento più basso l'unico momento basso della storia dei Ramones: il video clip (raro) di Spiderman. Momento Disbanded da vedere. A giugno, nel fucking frattempo, è morto Arturo Vega. Non era così popolare, per cui è facile aver perso la notizia. In vita sua Vega fece essenzialmente una sola cosa: disegnò il logo dei Ramones. Per molti forse è solo una maglietta, ma io mi sono chiesto più di una volta cosa sarebbero stati i Ramones e tutto il punk senza quel logo. E oggi lo so: ho trovato un video girato proprio nello studio di Vega, nel 1975. Senza il logo, forse ancora in gestazione. Guardate che brutto il fondo giallino. Che tristezza quello striscione sullo sfondo, e quel font distanziato male. RIP tutti i Ramones (non è rimasto nemmeno uno in vita), Arturo Vega e la mia canottiera originale dell'epoca presa a un loro concerto e poi buttata da mia madre forse perché lisa, o perché troppo punk.

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giovedì 5 settembre 2013

Il più Disbanded di Instagram.



È lui: questo maestro nero del selfie ha caricato da luglio in poi sempre la stessa faccia, con la stessa espressione e lo stesso sorriso. L'unica cosa che ha cambiato ogni tanto è stato sfondo; qualche volta ha azzardato un baffo, poi ha giocato un po' con i filtri, ma non ha scritto mai o quasi mai un commento (ammetto di non avere letto tutti i post).  "The beginning of something great", sentenziava qualcuno sotto alla prima foto. Sarei stupito se le aziende/agenzie americane di pubblicità si lasciassero sfuggire questa occasione. Se volete diventare suoi followers lo trovate digitando #MrPimpGoodGame.


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mercoledì 4 settembre 2013

Non era per te, mamma.


Il cinico scherzo che Nathan Fielder (uno che ha un programma di simil-candid camera in Canada) ha organizzato alle spalle di poveri genitori, che si vedevano recapitare un messaggio dai propri figli che facevano finta di essere dei giovani spacciatori. La seconda mamma reagisce con molto aplomb e dignità, prendendola come una personale sconfitta. Il padre è più catastrofico. Purtroppo non ci è dato sapere l'età dei digitatori di testo. (Trovato qui)





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martedì 3 settembre 2013

Trova l'intruso.





Ian Stewart, detto Stu, era nella formazione originale dei Rolling Stones, e suonava il piano. Lo vedete a sinistra della foto, è quello con la faccia quadrata. Di profilo era anche meno appetibile per le transenne di ragazzine impazzite: viceversa la sua scucchia lo avrebbe certamente favorito in qualsiasi fotofinish. Sostanzialmente per questo motivo estetico, venne estromesso dalla formazione quasi subito, rimanendo però nel gruppo nelle sale di registrazione, dove la luce è più fioca e le ragazzine non entrano. Partecipò praticamente a tutti i dischi degli Stones, senza però più salire sul palco. Possiamo quindi dire che i manager dell'epoca dei Rolling Stones si comportarono come se avessero a che fare con una boy band. Probabilmente la prima della storia, o se non altro la più talentuosa (se togliamo i Beatles dalla categoria). Era il meno drogato del gruppo, eppure fu quello che morì per primo, pur senza essersi mai arrampicato sulle palme e poi cadere - come Keith Richards - per emulare le scimmie. Il suo Disbanded-decesso avvenne nella sala d'aspetto di una clinica dove stava per ricoverarsi per alcuni problemi respiratori: lo fulminò un infarto. I Rolling Stones chiesero e ottennero che il suo nome fosse inserito nella Hall of fame insieme agli altri. Le fotografie non vennero ritoccate. Con un po' di ritardo entra anche qui, nella hall of fame dei Disbanded.

Elvis has left the building.


mercoledì 28 agosto 2013

Questo libro non uscirà mai perché il suo autore ha poi ucciso la moglie.



La storia in verità è ancora più triste, perché l'autore dell'uxoricidio ha addirittura postato su Facebook la foto della moglie appena uccisa. Pare che lei lo picchiasse spesso, tra l'altro. Ma non entreremo in questi dettagli perché esulano dalla Disbanded filosofia (se vi interessano i particolari, in rete trovate tutto). Resta il fatto che questo tipo stava per dare alle stampe un libro. Tra l'altro: come funziona in self publishing in America? Ancora non hai pubblicato il libro ma già esiste il prezzo? E soprattutto: già è in offerta speciale? Forse dopo l'omicidio l'autore era un po' meno credibile. Comunque, indagheremo. Piuttosto - per restare nel tema delle condivisioni fotografiche - stupisce un po' il successo virale di un video che ci spiega come è cambiata la nostra vita da quando esistono gli smartphone. Non è già quello che vediamo ogni giorno con i nostri occhi semplicemente ruotandoli intorno a noi? Come già detto qui, da quando giriamo tutti con una fotocamera in tasca, l'unica quasi-certezza che possiamo avere è quella della non esistenza degli UFO, purtroppo.

Elvis has left the building.

martedì 27 agosto 2013

No fuffa.




Non sarà la prima marca a fare comunicazione puntando tutto sul "no bollocks" (niente fuffa, per usare eufemismi), ma forse è la prima birra che usa questa via per distinguersi e attaccare le fuffosissime e spesso antipatiche concorrenti fighette e giovanili. Il verbo è: linguaggio diretto, verità, schiettezza, come le pubblicità americane degli anni di Bernbach e Gossage. La bella campagna per la Newcastle Brown Ale è della Droga5 NY. Ci sono dentro tutti i media, pubblicità comparative, azioni di guerrilla, e soprattutto idee rifinite bene. Trovate qui tutti i soggetti e i pezzi. Comunque, visto che la campagna invita a non dire bollocks, aggiungeremo noi che la birra in questione non vale niente, giusto come dettaglio.

Elvis has left the building.




lunedì 26 agosto 2013

Tutto Saul Bass.



La galleria completa di tutti i poster per il cinema realizzati da uno dei grafici più potenti della nostra epoca, Saul Bass, che insieme a sua moglie Elaine è anche considerato (come già visto tante volte qui) l'autore di tantissimi dei più bei titoli di testa della storia del cinema. È la prima volta che li vedo tutti insieme come miniature; l'insieme merita, e lo consiglio come break alle foto delle vacanze, cariche di saudade e perduta leggerezza.

Elvis has left the building.

venerdì 23 agosto 2013

Plastic (vera al 98%).




La scena in sé è anche suggestiva: una signora sui 60 anni, molto muscolosa soprattutto sulle gambe che escono dai corti pantaloncini di raso, tanto da farmi dubitare fino all'ultimo se non si tratti di un uomo, avanza verso di me sul bagnasciuga, con un mucchio di grattacieli sullo sfondo. Porta una camicia bianca da guarda costiera, con tanto di distintivi. La mancanza di seno e i capelli molto corti, e il volto segnato da una certa durezza, mi lasciano il dubbio fino alla fine, quando è abbastanza vicina da farmi vedere il suo orecchino da donna e anche i suoi lineamenti. Si ferma e raccoglie delle strane alghe che sembrano sottilissimi spaghetti tagliati in tre pezzi, di colore bianco. Le porta alla bocca e le assaggia, proprio come si farebbe per controllarne la cottura se fosse pasta. Sembra perplessa, anche più di me che assisto alla scena. Mi viene naturale chiederle cosa assaggi. Mi spiega che quelle che sta assaggiando sono probabilmente alghe, certamente innocue per i pesci, che possono masticarle o inghiottirle. Invece, aggiunge raccogliendo dei frammenti più squadrati bianchi e plasticosi, quando mangiano questi, i pesci muoiono. Sono piccoli pezzettini irregolari, effettivamente di plastica. Le Big Corporations quando riciclano i loro contenitori li mandano in questi centri che li polverizzano. Trasformano un flacone di Coccolino in un puzzle da 100 mila pezzi. Eccoli qui sulla spiaggia. Sembrano quasi pezzetti di conchiglia, ma sono plastica. I pesci li ingeriscono e ci restano secchi. Senza contare - ma questo nemmeno lo dice - che quella plastica la mangiamo anche noi che mangiamo quel pesce. Insomma una bella catena di Sant'Antonio. Mi chiede da dove vengo e le dico da Roma. Anche noi abbiamo il mare che bagna la città, le dico, ma mi vergogno a rivelarle che da noi i flaconi di Coccolino si trovano sulla spiaggia tutti interi, non a pezzetti. Forse giusto un balenottero ci si potrebbe strozzare. 
Ah, sospira lei con aria di chi sa, l'Italia è molto avanti nella raccolta differenziata: non è così? Imbarazzato le rispondo che non mi risulta, forse negli ultimi anni abbiamo fatto qualche passo avanti, ma direi che siamo maestri a riciclare altro, non i rifiuti. Si era confusa con la Spagna e la Francia, capisco poi, dove si raccoglie anche il cibo avanzato, oltre a tutto il resto. Mi ammonisce a non usare più la plastica, vista la fine che fa. Quasi mi convinco d'ora in poi a comprare sapone di Marsiglia in blocchi e bere solo acqua piovana. Infine la saluto dopo essermi fatto raccontare che sono 35 anni che lei presidia quel tratto di spiaggia, e che la bandiera viola significa presenza di meduse in mare. Ho ammirazione per questa signora che va in giro ad assaggiare alghe per sincerarsi che non sia plastica. Me la lascio alle spalle e mi metto a guardare anche io i pezzetti di puzzle delle big corporations depositati a riva. Mi giro un'ultima volta per guardarla andare, e la vedo in controluce che mette mano al suo walkie-talkie per rispondere a una chiamata. Vedo che si agita, il trasmettitore gracchia fino a qua, lei non sente, è nervosa. Lo sbatte all'orecchio. Poi lo gira, lo apre, e capisce che le pile sono andate. Allora prende le pile, le strappa a forza dall'apparecchio, e supportata dai suoi muscoli quasi maschili, fa ciò che la sua natura le suggerisce.
Le lancia in mare.
A quel punto il sole si immerge in acqua e tutto si spegne.




Elvis has left the building.



martedì 20 agosto 2013

Quella volta che Woody Allen copiò da Totò.






L'amico Riccardo Grandi segnala questo carosello di Totò per il brodo Star che ricorda in qualche modo la scena della rapina di "Prendi i soldi e scappa" di Woody Allen (1969); nel film il rapinatore, impacciato come sempre, presentava un biglietto al cassiere con la richiesta di rapina. Ne nasceva un divertente e surreale battibecco causato dalla scarsa leggibilità del testo, che rischiava di compromettere il colpo. Il Carosello di Totò ha una struttura simile, e anche se sembra di un'altra epoca, è più vecchio soltanto di tre anni, essendo stato girato dal mitico Luciano Emmer nel 1966. Ognuno dei due attori mantiene il suo stile, scegliendo di recitare al di qua o al di là dello sportello, in base alla propria attitudine comica. Invertire i ruoli del resto non avrebbe avuto senso: immaginate Totò rapinatore e Woody Allen cassiere: un flop. Trattasi allora di plagio? Citazione? Ispirazione? Potrebbe più semplicemente essere un caso. Propendo per questa ipotesi sia per rispetto a Woody Allen, sia perché mi sembra difficile immaginare che nel 1969 qualcuno a New York potesse avere accesso a un Carosello italiano semi sconosciuto, oltretutto in anni in cui la grande lente di ingrandimento del web era ancora sepolta nella sabbia.  Resta però impressionante vedere più o meno la stessa gag recitata da questi due grandi attori. E ancora più impressionante è pensare che il film di Allen sia così vecchio (io lo avrei datato fine anni settanta) e quasi contemporaneo di Totò, che left the building esattamente un anno dopo il suo Carosello, nel 1967.
A proposito: pare che gli sketch di Totò per il Carosello fossero in tutto 9, ma solo due siano sopravvissuti. Non ricordo chi mi raccontò che in Rai, fino a qualche anno fa, si usasse riciclare le vecchie bobine, e registrarci sopra per risparmiare. E noi che per anni abbiamo chiamato la Rai "mamma".

Elvis has left the building.

sabato 17 agosto 2013

Chi si ricorda di Captain Eo?




Il film più costoso di tutti i tempi (per minuto girato: ne dura 17) venne fatto uscire nel 1986 solo nei parchi Disney, e per qualche tempo raccolse la gloria per cui erano stati spesi tutti quei denari. Si parlava molto di Captain Eo e dei suoi effetti 3D in quegli anni. Ma poi le invenzioni tecnologiche di Lucas-Coppola presero a invecchiare, a differenza del protagonista del breve film, e così l'attrazione venne tolta dai parchi. Dopo la morte di MJ però si decise che Captain Eo potesse avere una nuova vita. Ed ecco che oggi, nel 2013, Captain Eo giace disbanded in un angolo di Epcot a Disneyworld. Non serve il fast-pass per saltare le code, perché non ci sono code per questa attrazione, come si evince dalla freschissima foto. Nessuno ha interesse a vedere vecchi effetti speciali che ormai anche la schermata introduttiva di una app è in grado di superare, e nessuno vuole ricordare Michael Jackson attraverso questa opera. Ed ecco quindi che MJ diventa suo malgrado un Disbanded postumo di questo blog. Pace alla sua anima, a quella di Captain Eo, e trovate qualcosa da fare al custode di questa attrazione, che lo vedo inquieto.

Elvis has left the building.




giovedì 15 agosto 2013

Gli ennesimi precursori del Punk.




Che non si dica che questo è un blog che cerca facili consensi. Ecco un post, pubblicato a tarda notte del 14 agosto, destinato a fare la stessa fine del gruppo di cui parla: essere ignorato da tutti.  La rumorosa notizia è che prima ancora dei Ramones o dei Sex Pistols o degli Stooges, c'era una band di Detroit che suonava il punk. Si chiamavano Death, ed erano tre fratelli (neri) chiamati Bobby, David e Dannis Hackney. A giudicare dalla foto avevano un bellissimo look. Ma erano misconosciuti, sommersi e invisibili come solo si poteva essere nell'era pre-internet.
In effetti fino a poco tempo fa non esisteva nemmeno un loro disco. L'unico pezzo tangibile era una demo auto-pubblicata in 500 copie, intitolata "Politicians in my eyes", del 1975. Se volete un assaggio, eccolo.  Zero successo, e  il gruppo Disbanded nel 1977. Ma nel 2008 i figli di Bobby Hackney misero in piedi un gruppo che suonava le cover della sconosciuta band paterna, chiamato Rough Francis. Ecco il bel dialogo, ripreso con brio da Obit magazine, tra Bobby - che nel frattempo era finito a suonare il reggae nel Vermont - e suo figlio: “One day [my son] calls me from San Francisco and says, ‘Uh, Dad, did you know that people are going crazy playing your music at underground parties here?’ We hadn’t thought about Death in decades. It was a bitter story for us. So I’m thinking: They love our reggae? He says, ‘No, Dad, you were in a band in the ’70s called Death, and this single is a collectible now. Why didn’t you tell me?!’ He searches on the Internet, and they’re selling that Death 45 for $800 to $1,000! He says, ‘Please tell me you still have those master tapes.’ As coolly as if I said, ‘I’ll go mow the lawn,’ I say, ‘Yeah, they’re up in the attic.’ He says, ‘Dad, we’ve got a lot of work to do.’”  Sono queste le storie che piacciono al blog Disbanded. E così, finalmente, arrivò il riconoscimento postumo: nel 2009 l'etichetta Drag City decise di togliere la polvere dai loro nastri, pubblicare i sette pezzi esistenti, e stabilire che il mondo era pronto per gli ennesimi inventori del Punk. Che quindi decisero di riunirsi, anche se un fratello nel frattempo era Dead. I titoli finali di questa storia li lasciamo al documentario in uscita proprio quest'anno.

Elvis has left the building.


lunedì 12 agosto 2013

La poesia è ovunque.



Questo video ha avuto un certo successo in uno slam di poesia regionale americano, diventando virale grazie a Reddit. La poesia, se così vi sentite di chiamarla, è interpretata da un uomo che soffre di OCD (Disturbo Ossessivo-Compulsivo) e che non fa nulla per nasconderlo. Anzi la performance è basata proprio su questo.  Un uomo, la sua ragazza, i problemi derivanti dal disturbo di lui. Non so se mi è piaciuta, ma mentre lo decido ve la sottopongo, tanto dura poco. E per facilitarvi ecco anche il sito con il testo. L'antica querelle su cosa possa considerarsi poesia e cosa no, cosa sia arte e cosa invece sia bluff, potrebbe trovare qui qualche tumultuosa argomentazione in più.

Elvis has left the building.

venerdì 9 agosto 2013

Don't text and drive: il documentario di Herzog.



Se siete tra quelli che ogni tanto mentre guidano scrivono messaggi di testo con il telefono, questo breve film di Werner Herzog potrebbe fare per voi. E riuscire nel miracolo di farvi cambiare abitudine. Racconta di 4 incidenti avvenuti per la stessa causa: il guidatore stava digitando frasi come "sto arrivando" o "ti amo", o magari era solo intento alla lettura di un messaggio. Se avete poco tempo cercate di vederne uno: io vi consiglio quello che parte dal minuto 7'. Cinematografico, struggente, commovente e girato con sensibilità da un grandissimo maestro. Il filmato è stato commissionato dalla AT&T e verrà proiettato in 400.000 scuole americane. La questione è interessante e seria soprattutto perché coinvolge il ruolo delle pubblicità o comunicazioni sociali: chiedetevi se può funzionare su di voi (io mi sono risposto di sì), e fatevi la stessa domanda ogni volta che vedete una pubblicità che tende a farvi cambiare un comportamento. Come ad esempio questa (che andrebbe anch'essa mostrata nelle scuole, ma come esempio di cosa non fare).

Elvis has left the building.  

Back to the basics.



Nel giorno dell'approvazione delle misure più severe contro le violenze sulle donne, ecco un annuncio del 1911 che spiega come baciare una ragazza. Ma la sorpresa arriva sul finale, quando si capisce che è soltanto advertising. Il vero insegnamento tuttavia è per le aziende che fanno pubblicità nel 2013: notate l'assenza totale di loghi e marchi, solo una riga alla fine che spiega di cosa si sta parlando. Invece di dirti tutto subito, ti catturo e ti porto dentro: vecchi trucchi poi chissà perché abbandonati. (Resta comunque il fatto che nessuno qui sembra preoccuparsi dell'alito del bel soldatino, o forse autista). (Via)

Elvis has left the building.

giovedì 8 agosto 2013

"My heros have always killed cowboys"




Se avete 10 minuti di tempo da sottrarre al nulla umido che probabilmente affolla la vostra scrivania
e quella del vostro computer, ecco la bella storia di un fotografo (Aaron Huey) che si prende a cuore la causa dei Lakota Sioux della riserva di Pine Ridge, in South Dakota. Anno dopo anno Aaron torna a fare le foto in questo posto tra i più poveri e violenti d'America. Va anche al Ted, a fare una conferenza. E alla fine si unisce a Shepard Fairey (quello di Obey, forse con Bansky il più famoso street artist contemporaneo) per fare un mega poster molto bello, un murales che dovrebbe gridare ancora più forte delle sue fotografie, con una missione dichiarata di "elevate their voice at the point that they are so visible I can walk away". Stupisce quasi come alla fine proprio il caro vecchio poster sia il mezzo che i due scelgono per "elevare questa voce". Un bell'esempio di integrazione di video, foto, murales e interventi pubblici, per una case-study senza nessun committente alle spalle, ma proprio per questo ancora più significativa.


Elvis has left the building.

mercoledì 7 agosto 2013

Backseat Italians.





Viviamo un momento non felice, come italiani. Gli stereotipi ci si  ritorcono contro come dei boomerang, colpendoci alla nuca. E il boomerang è affrescato da piccole miniature raffiguranti Apicella, Berlusconi, la Pascale e tutti i personaggi che (da ogni parte) stanno rendendo piccolissima questa Italia agli occhi del mondo. Però questa volta, nel lungo spot americano per la 500, gli stereotipi sono simpatici, civili, divertenti, e quasi del tutto positivi. L'idea di base è anche carina: ogni Fiat 500 viene venduta di base con una famiglia italiana dentro, con tutte le sue caratteristiche. Ma stavolta, a differenza del solito, lo stereotipo gioca dalla nostra parte. Per forza, aggiungerei, visto che in vendita c'è una macchina italiana. L'episodio del caffè spiega bene questo spirito. In sostanza ci sentiamo un po' più rappresentati da questa pubblicità che dai Cesaroni (almeno io). E di sicuro ci possiamo imbarazzare di meno. Cito un commento dei tanti al video: "As an Italian, I can tell you that this is not a parody. It's a documentary."

Elvis has left the building.

giovedì 1 agosto 2013

L'iguana è un animale che sopravvive alle pubblicità.



L'Iguana si chiama così perché la sua prima band del liceo si chiamava The Iguanas. Lui suonava la batteria. Poco dopo avrebbe più o meno inventato il punk, e per questo e mille altri motivi è un personaggio tra i più Disbanded dell'omonimo universo. È lui tra l'altro il primo ad avere fatto stage-diving (in un concerto a Detroit).  Eppure il suo mito può passare indenne attraverso svariate pubblicità commerciali. Di questa qui sopra esiste anche lo spot.  Ma nessun calo di stima viene mai registrato da queste operazioni. Forse perché sono ben fatte, o forse perché - semplicemente - lui può.  Egli ama fare spot anche per promuovere i suoi stessi dischi. Qui invece lo vediamo posare per un'assicurazione auto. E siccome oltre a essere un'iguana è anche un'icona, eccolo come modello per John Varvato. Vestito. (Ad altre rockstar non riesce la stessa magia, e non cercheremo spiegazioni su questo fenomeno inverso).

Elvis has left the building. 



lunedì 29 luglio 2013

What is this about Big?



"What is this about Big?" si chiedeva Anthony Hopkins in un bello spot della Barclays Bank girato da Tony Scott alla fine degli anni '90. Ci fu qualche problema successivamente, riassumibile nel grido "No More Big Banks", ma  ad ogni modo allora essere grandi sembrava avere i suoi vantaggi, come ci spiegavano i super alla fine del commercial. Qualcosa di analogo accadeva ieri; mentre sul prato dello stadio Olimpico di Roma andava in scena il big Wall di Roger Waters (anche questo uno spettacolo con la sontuosità e costo-biglietti di altri tempi), usciva la notizia della Big-fusione tra due enormi gruppi di pubblicità: Publicis e Omnicom. Per intenderci i gruppi proprietari di agenzie come Saatchi&Saatchi, DDB, Tbwa, BBDO, Leo Burnett, ma anche semi o ex-indipendenti come BBH: in pratica metà delle agenzie di pubblicità conosciute dall'uomo. Non capisco nulla di queste attività, finanziariamente parlando, ed è una fortuna per voi così eviterò noiosissimi commenti tecnici. Però faccio mia la domanda di Anthony Hopkins: "Cos'è tutta questa ansia del grande?" E' davvero un vantaggio, oggi, anno 2013, essere i più grandi? Qualche analisi prova a spiegare che i vantaggi potrebbero andare da una diversa posizione di forza nelle trattative con i media, a una migliore posizione fiscale, o addirittura che la fusione servirebbe a fronteggiare meglio Google. Tutti vantaggi interni, quindi. Nessun vantaggio apparente per vuole usufruire dei servizi creativi o strategici delle agenzie del supergruppo. Mi sbaglierò senz'altro, ma se non è un vantaggio per il cliente alla lunga difficilmente lo sarà per te. E poi: ha senso nell'anno ufficiale del minimalismo, dove anche il Papa fa il povero, fare sfoggio di grandezza? La nascita del supergruppo sembra quindi anche un retaggio o un'aspirazione di chi è nato in anni molto diversi da questi. Da un punto di vista puramente superficiale - come questo blog mira ad essere - mi ha ricordato gli anni del Think Big: catene di negozi che vendevano cose enormi, spillatrici gigantesche o telefoni formato-uomo. In quegli anni del resto anche le automobili miravano al grande, i colletti delle camicie, i nodi delle cravatte, le spalline dei vestiti. Il mito del Think Big difficilmente sfugge agli over 70; sono nati in epoca in cui quello era il valore principale. E l'advertising non è in mano ai vari Larry Page di Google (40), Tim Cook di Apple (52) o Mark Zuckerberg, che  ha ancora in frigo gli avanzi della torta della sua festa di 18 anni.  Ecco, non vorrei che alla fine il problema alla fine fosse tra le righe di questa nota:
"The senior leadership is also rather senior in age. Maurice Levy, 71, and John Wren, 60, will serve as co-CEOs for the first two and a half years of the deal. After that, Mr. Levy will become non-executive chairman and Mr. Wren will continue as CEO. For the first year following closing of the transaction, Bruce Crawford, 84, currently Omnicom chairman, will be non-executive chairman of Publicis Omnicom Group." 

"There is only one small problem: my fee" A.H.

Elvis has left the building.